Diabete

Il diabete: come e perché

Lo conoscevano già nei tempi antichi: il diabete, la “dolce” malattia, è un disturbo che colpisce ogni anno milioni di persone, spesso senza che se ne accorgano. Per questo è importante conoscerne i sintomi e intervenire tempestivamente

E’ una tra le malattie metaboliche più diffuse e conosciute: in Italia si contano oltre tre milioni di casi, a cui ne vanno aggiunti almeno altri due di non diagnosticati. Nel nostro Paese incide per circa il 5% della popolazione, con quasi 200.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno, di cui 15.000 di tipo I e ben 185.000 di tipo II. In Europa i numeri sono molto variabili, specie per il diabete mellito (tipo I): si spazia infatti dai 30.000 nuovi casi su 100.000 persone della Finlandia ai 5-6 ogni 100.000 della Grecia a seconda di fattori razziali e geografici. A livello mondiale preoccupa l’incidenza del diabete di tipo due, in continua ascesa, pari al 5% in Europa e al 7% negli USA, ma questa percentuale sale di molto se si considerano le fasce d’età superiori ai 50 anni e ancora di più dopo i 60. Dai dati in possesso dell’OMS, si evince che il numero totale dei diabetici nel mondi si aggira intorno ai 140 milioni, ma quello che preoccupa è che secondo le previsioni questa cifra è destinata a raddoppiare entro pochi anni. La patologia infatti è in aumento non soltanto nei Paesi Occidentali, ma anche in Asia e in America Latina, per via del cambiamento dello stile di vita che sta coinvolgendo anche quei luoghi solitamente meno esposti a questa malattia.

Di diabete se ne parla già nel 1600 a.C., infatti, in un papiro egiziano si accenna ai sintomi del diabete e si trovano delle proposte per curarlo che prevedevano l’impiego di datteri, tritello di grano, gomma, miele e lievito di birra. Anche in documenti della medicina cinese risalenti al 1000 a.C. si trovano descrizioni di individui che eliminano urina che attira le api e le formiche, mentre nel III secolo a.C. appare ufficialmente il termine diabete (letteralmente: acqua che passa) da Demetrio di Apameia e Apollonio di Menfi, per descrivere la patologia di quelle persone che hanno una sete insaziabile ed eliminano abbondante urina. Ma che cos’è realmente i diabete? Come si deve alimentare chi ne soffre e perché si parla di diabete di tipo I e di tipo II?

Che cos’è il diabete?
Il diabete è un disordine metabolico dovuto a cause diverse: genetiche, alimentari e comportamentali, che si caratterizza per un’elevata concentrazione di zucchero nel sangue e problemi a carico del metabolismo di glucidi, lipidi e proteine. Nel linguaggio comune poi si distinguono due tipi di diabete: il diabete mellito, insulinodipendente e quello dell’adulto, non insulinodipendente. Nel primo caso le cellule beta del pancreas si atrofizzano progressivamente, così che la produzione di insulina, di cui sono responsabili, diminuisce via via e si rende necessario quindi somministrarla dall’esterno, tramite iniezioni sottocutanee, in modo da riportare la glicemia ai valori normali. Nel diabete di tipo due invece non è la produzione di insulina a diminuire, ma sono le cellule a sviluppare una sorta di resistenza contro di essa, per cui per riportare la glicemia ai livelli normali ne servono quantità sempre maggiori.
Il diabete di tipo I è di origine autoimmune e colpisce generalmente i bambini, gli adolescenti e gli adulti fino ai 35 anni, mentre nel secondo caso vengono colpite le persone tra i 35 e i 60 anni. In questo caso il problema viene risolto mediante la somministrazione di pastiglie ipoglicemizzanti. A causa delle variate abitudini alimentari e dello stile di vita sempre più orientato alla sedentarietà, inoltre, tra i giovani si sta diffondendo un terzo tipo di diabete, detto comunemente MODY (Maturità Onset Diabetes oh the Young), che rientra nel secondo tipo, ma è caratterizzato dalla sua insorgenza precoce.

Come riconoscerlo?
Questa patologia è caratterizzata da sintomi eclatanti e facilmente riconoscibili. L’eccessiva concentrazione di zucchero nel sangue, infatti, richiama molta acqua e questo fenomeno si traduce in due sintomi classici: l’abbondante produzione di urine e la conseguente sete abnorme, dovuta alla disidratazione data dalla massiccia perdita di liquidi. Altri sintomi abbastanza classici sono l’aumento della fame, poiché le cellule non riescono ad utilizzare il glucosio, pur se presente in notevoli quantità, e quindi richiedono sempre nuovi nutrienti. A questo aumento delle calorie introdotte però, specie nel diabete di tipo I, corrisponde un calo ponderale, poiché per far fronte alle richieste energetiche l’organismo deve metabolizzare grassi e proteine. Di conseguenza il soggetto avverte anche un senso di stanchezza diffusa che non si attenua nemmeno con il riposo. Spesso poi, per via dell’indebolimento dell’organismo e il conseguente abbassamento delle difese immunitarie, il soggetto diabetico è soggetto a infezioni della pelle, accompagnate da prurito, e questo è un altro campanello d’allarme abbastanza caratteristico della patologia. Questi sintomi spingono ovviamente a contattare il medico, che formulerà la diagnosi, solo che nel diabete di secondo tipo i sintomi sono molto più sfumati e al posto del dimagrimento può esserci un aumento ponderale, per cui la patologia può essere presente per anni senza che sia diagnosticata.
Normalmente una semplice analisi del sangue è sufficiente a mettere in luce questa patologia: valori di glicemia a digiuno fino a 110 mg/l sono considerati normali, mentre tra i 111 e i 125 mg/l indicano una condizione di alterata glicemia a digiuno. Dai 126 mg/l in avanti, secondo l’American Diabetes Association, si devono fare indagini più approfondite, mentre un valore di 200 mg(l rilevato in qualunque momento della giornata dà la certezza della patologia.

Una volta effettuata la diagnosi, come cambia la vita di un diabetico?
L’obiettivo principale diventa, naturalmente, il controllo della glicemia, per mantenerla il più possibile entro i giusti valori. Se non curato infatti il diabete comporta danni ai reni, agli occhi, concorre all’aumento del colesterolo ematico e provoca danni alla circolazione a volte così gravi da dover richiedere l’amputazione degli arti colpiti.
Chi soffre di diabete inoltre deve assolutamente porre una particolare attenzione alla propria dieta, limitando non soltanto i dolci, come verrebbe spontaneo pensare, ma anche tutta una serie di alimenti in grado di fare innalzare la glicemia. Vediamo allora come ci si debba regolare in fatto di alimentazione.
Partiamo dalle calorie: un paziente diabetico ha lo stesso identico fabbisogno energetico di qualsiasi altra persona della stessa età, altezza e peso. In generale quindi, laddove non vi sia necessità di perdere peso (spesso presente per i malati di diabete di tipo II) si può osservare una dieta normale da 2500 Kcal giornaliere (2200 per le donne e 2800 per gli uomini), avendo però cura di ripartirle nelle giuste proporzioni. L’assunzione degli zuccheri semplici, ad esempio, va valutata e programmata attentamente, poiché il loro assorbimento è molto rapido e comporta quindi picchi glicemici elevati. Andrebbe quindi, data la preferenza a carboidrati complessi, che richiedono meno insulina per il loro assorbimento e consentono un miglior controllo della glicemia. In particolare i carboidrati dovrebbero rappresentare il 50-55% delle calorie totali introdotte giornalmente, a patto che l’80% di essi sia costituito da amido e il restante 205 da zuccheri che non richiedano l’intervento dell’insulina. Particolarmente benefica si rivela poi la fibra, in particolare quella idrosolubile, poiché, tra le altre cose, ha il pregio di rallentare l’assorbimento intestinale degli zuccheri, evitando così di far impennare la glicemia dopo i pasti. Dato che questa componente è priva di calorie, salvo alcune eccezioni, non esistono controindicazioni per la sua assunzione, né limiti. La quota proteica deve essere di circa il 20%, avendo cura che almeno un terzo di queste siano di origine animale, in modo da garantire l’apporto degli aminoacidi essenziali. Le calorie restanti, pari al 25-30%, devono infine essere costituite dai grassi, privilegiando quelli di origine vegetale e dei pesci, aumentando così la frazione di quelli insaturi, benefici per cuore ed arterie.
E’ importante cercare di evitare picchi di glicemia o cali di zucchero (ipoglicemia) e per questo motivo, tra i 3 pasti principali è consigliato inserire dei piccoli spuntini che apportino zuccheri. Non per tutti però questa strategia si rivela vincente, per cui, prima di prendere qualsiasi iniziativa, è bene parlarne prima con il proprio medico. La cosa però fondamentale per un diabetico è di consumare i pasti con la massima regolarità possibile, in modo da modulare il fabbisogno di insulina e renderlo sempre regolare.

Con una dieta appropriata e nemmeno troppo restrittiva dunque una persona affetta da diabete può continuare a condurre una vita assolutamente normale, senza privarsi praticamente di nulla. L’industria alimentare infatti, da sempre attenta alle esigenze di persone con necessità particolari, ha messo a punto tutta una serie di prodotti, dalle caramelle, ai dolci, al cioccolato, studiate appositamente per chi non può assumere glucosio, che nulla hanno da invidiare ai corrispettivi tradizionali. Un po’ di attività fisica infine, moderata ma regolare, aiuterà il diabetico (ma non solo lui) a tenere sotto controllo i propri valori di glucosio, e anche di colesterolo e trigliceridi, aiutando nel contempo tutto l’organismo a mantenersi in buona forma.

Qualche consiglio
Cosa da fare e cose da evitare
•    Non saltare i pasti
•    Non bere alcolici a stomaco vuoto (si rischia l’ipoglicemia)
•    Assumere più frutta e verdura
•    Limitare l’uso del sale
•    Bere molto durante tutta la giornata
•    Assumere ad ogni pasto cibi ricchi d’amido e di fibre
•    Limitare i cibi grassi, in particolare le salse e i formaggi
•    Limitare le fritture e, ovviamente, i dolci
•    Non fumare

Dalle staminali una speranza concreta
E’ partita la prima fase della sperimentazione per combattere il diabete con le cellule staminali. Il diabete di tipo I infatti è legato ad una progressiva atrofizzazione delle cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di insulina. Con un autotrapianto di cellule staminali, che hanno la peculiarità di essere indifferenziate e quindi di trasformarsi nelle cellule specializzate dell’organo in cui vengono immesse, si mira a ricostruire queste cellule, in modo da fare riprendere la produzione di insulina. I primi esperimenti hanno dato risultati incoraggianti e le speranze di sconfiggere questa malattia per il futuro sono davvero ottime.

 

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