Carni alternative

Le carni alternative

Un po’ per moda, un po’ per le disavventure, recenti e non, che hanno vissuto le carni tradizionali, stiamo assistendo a un progressivo imporsi sul mercato delle cosiddette “carni alternative”: struzzo, cervo, cavallo, canguro e persino cammello stanno facendo capolino sui nostri mercati. Ma sono davvero migliori?

Le recenti crisi che hanno caratterizzato il mercato delle carni (Morbo della Mucca Pazza, Pollo alla diossina, pesce al mercurio…) hanno fatto sì che l’attenzione di produttori e consumatori si spostasse verso le carni cosiddette “alternative”, ritenute, a torto o a ragione, più sicure. Pollame, ovini e bovini stanno lentamente cedendo il passo a carni che, fino a poco tempo fa, nessuno avrebbe mai immaginato di poter trovare in commercio. Stiamo parlando di animali quali lo struzzo, il bufalo, il cervo, il canguro, il bisonte e financo il cammello, sebbene queste ultime si possano trovare, almeno in Italia, quasi esclusivamente nei ristoranti. Diverso è il discorso, invece, per la carne di cavallo, in commercio già da diverso tempo, ma che sta conoscendo un momento di successo privo di precedenti. In parte questo fenomeno è dovuto ad una sorta di “moda alimentare”, ma è innegabile che queste carni possiedano delle caratteristiche nutrizionali di sicuro interesse, tanto da poterle considerare una valida alternativa a quelle tradizionali. Analizziamone allora le peculiarità, in modo da poter comprendere fino a che punto valga la pena spendere qualche soldo in più (perché ovviamente questi prodotti sono più cari rispetto a quelli tradizionali).

Lo Struzzo
Questo tipo di carne è salita solo di recente agli onori della cronaca. Sul nostro territorio, il numero di allevamenti di questi animali cresce ogni giorno che passa e i ristoranti che lo servono sono sempre più numerosi, tanto che troviamo questa carne persino nei vassoi serviti a bordo degli aerei: la British Airways l’ha infatti introdotta nei pasti dei passeggeri di prima classe sulle rotte transatlantiche, mentre Belgio e Svizzera si contendono il primato per il maggior consumo procapite al mondo.
Da un punto di vista nutrizionale, lo struzzo si presenta come una via di mezzo tra le carni rosse ed il pollame: delle prime mantiene il colore, mentre delle seconde ha la tenerezza, per via delle fibre muscolari più corte rispetto alle carni bovine. Per quanto riguarda il gusto, esso è meno pronunciato rispetto alle carni tradizionali, ma certamente più deciso e tipico rispetto al pollame.
Lo struzzo è facilmente digeribile, in quanto la sua tenerezza richiede cotture brevi e il suo gusto caratteristico e gradevole non necessita di apporti di salse o sughi. La sua carne è povera di lipidi (meno dell'uno per cento) e di colesterolo, ma con una buona dose di acidi grassi insaturi, mentre il contenuto proteico supera il 21 per cento, con un livello di amminoacidi essenziali pari a quello delle altre carni. Ricca di minerali, in particolare ferro e fosforo, la carne di struzzo è però scarsa di sodio e questo fatto la rende particolarmente adatta a chi soffre di ipertensione. Con solo 105 kcal ogni 100 grammi, è ideale anche per chi deve seguire dei regimi alimentari ipocalorici.
Indicata infine, anche per chi è intollerante alle carni rosse tradizionali, deve essere servita poco cotta e condita con un buon olio extravergine d’oliva.

La carne di struzzo fresca è una rarità anche in Sudafrica, dove viene preferita sotto forma di biltong (strisce sottili di carne essiccata). Sembra un paradosso: sebbene sia estranea alla cultura gastronomica europea e italiana, si sta imponendo più in Europa che non nel paese di origine: si sta ampliando la sua presenza sia sui banchi dei supermercati sia nei menu dei ristoranti. Da uno struzzo macellato a circa 12-15 mesi di età, dal peso vivo di 90-110 kg, si ottengono circa 35 kg di carne di cui 10 sono tagli pregiati come il filetto.

Il Cavallo

La storia gastronomica del cavallo ha radici lontane. Il suo consumo, infatti, sebbene occasionale, era già diffuso presso i Greci e i Romani ed era riservato ad acquirenti con scarse possibilità economiche. Tra le popolazioni barbare e nomadi, cibarsi di queste carni era un’abitudine ben radicata, tanto che la celebre “tartare” ebbe origine proprio presso queste popolazioni che, non avendo a disposizione altri animali, si cibavano dei propri cavalli vecchi, malati o azzoppati, conservandone le carni tra la sella e il cavallo, in modo tale che risultassero frollate e macinate. Dal tipico colore rosso scuro, dato dell’elevato contenuto di mioglobina, questa carne si caratterizza per il suo sapore dolciastro, a metà strada tra la carne bovina e la selvaggina. Per via del suo cospicuo contenuto in ferro (circa 3 g per etto, contro gli 1,8 di quella bovina), anni fa era usanza consigliarla a chi soffriva di anemia, ai bambini e alle donne in gravidanza. Rispetto alla carne bovina, quella equina è meno grassa e più ricca di glicogeno (lo zucchero che si deposita nel muscolo come riserva) e per questo motivo ha un sapore dolciastro, mentre sono equivalenti dal punto di vista proteico. Come le carni rosse in generale, va cucinata al sangue per essere apprezzata al meglio e per trarne i maggiori benefici. Le si possono abbinare contorni dal sapore forte e deciso, quali rucola, cipollotti, radicchio o scarola

Il Bufalo
Nel nostro Paese il suo consumo non è ancora molto diffuso, mentre lo è quello dei derivati del suo latte, prima fra tutti, la mozzarella di bufala campana D.O.P. Questa carne, per la quale è in corso l’istruttoria per il riconoscimento dell’I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) si presenta di un bel colore roseo e, vista la giovane età a cui si usa macellare l’animale, è anche molto succosa e tenera. Quest’ultima qualità, è dovuta all’abbondanza di un particolare amminoacido, l’idrossiprolina, la cui quantità diminuisce con l’avanzare dell’età dell’animale. La carne di bufala però non è soltanto buona: essa presenta infatti delle discrete quantità di acidi grassi insaturi, in particolare acido oleico e stearico, che sono estremamente utili per il benessere delle nostre arterie, poiché contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo cattivo. Particolarmente gustosa e digeribile, questo tipo di carne può essere utilizzata per qualsiasi preparazione culinaria, anche per via del suo sapore, che si sposa ottimamente con gli ingredienti della cucina mediterranea.

Il Cervo
La carne di cervo è diffusa soprattutto in montagna. Essa è una carne veramente genuina: infatti, non esistendo allevamenti, gli animali vivono allo stato selvatico e vengono soppressi in abbattimenti programmati, finalizzati al controllo della diffusione delle malattie. Facilissima da trovare nei ristoranti di montagna, la carne di cervo va cucinata con spezie particolari, quali, ad esempio, ginepro e pepe di montagna, con contorni a base di carciofi o di funghi. Famosi il salame di cervo, prodotto con l’aggiunta, però, di grasso suino e la bresaola, molto diffusa sulle Alpi lombarde.

Probabilmente in origine la bresaola era un salume fatto con carne di cervo: il nome infatti non sarebbe altro che l'unione di "bre" (da breont o brenda che in alcune lingue indoeuropee vorrebbe dire, appunto, cervo) e "sal" (sale). La bresaola di cervo viene oggi prodotta in Valtellina e in alcuni comuni della provinciali Sondrio.

Il Canguro
Questo tipo di carne sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese, in alcuni casi soppiantando quella di struzzo, anche per via della sua elevata affinità con i prodotti biologici. I canguri infatti vengono importati dall’Australia, dove è vietato il loro allevamento: essi vivono liberi nelle praterie, cibandosi da soli: pertanto nei loro muscoli non si trovano residui di antibiotici, ormoni o altri farmaci. La loro carne risulta tenera, estremamente digeribile e con livelli assai bassi di colesterolo e lipidi. Per questo motivo il suo consumo è consigliato a coloro che soffrono di ipercolesterolemia e problemi cardiovascolari, oltre agli sportivi e ai bambini. Per apprezzarne meglio il sapore delicato, è consigliabile sottoporla ad una cottura breve, preferibilmente in padella o alla griglia, anche perché se preparato come stufato, spezzatino o brasato richiederebbe dei tempi più lunghi rispetto al manzo, con una perdita di nutrienti decisamente superiore.

Vale davvero la pena di cambiare?

Infine, vale la pena di accennare anche ad altre carni poco conosciute in Italia, come la carne di bisonte (diffusissima in America ed importata in Italia) e quella di cammello (diffusa nell’Africa settentrionale). Queste carni, ancora lontane dall’avere una certa diffusione nel nostro Paese, si possono gustare in alcuni particolari ristoranti. Ad ogni modo, ricordiamoci che la scelta migliore è sempre quella di consumare carni fresche provenienti da allevamenti sicuri e che le carni tradizionali hanno superato secoli di collaudo nella nostra alimentazione, per cui il nostro organismo è geneticamente predisposto a tollerarle bene. Il rischio maggiore di consumare alimenti che non fanno parte della nostra cultura gastronomica, infatti, oltre alla sicurezza sulle pratiche igieniche seguite, che non è sempre facile da determinare, è che essi possano favorire l’insorgenza di fenomeni di sensibilizzazione o vere e proprie allergie alimentari. Se è quindi plausibile la voglia di conoscere piatti provenienti da culture diverse dalla nostra, è certamente consigliabile non stravolgere completamente la nostra dieta e, in ogni caso, introdurre i nuovi alimenti in maniera graduale, per dare il tempo all’organismo di abituarsi alle sostanze nuove. Ricordiamoci, insomma, che anche a tavola serve il buon senso!

 

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