PFAS
PFAS, arrivano nuovi ‘ban’ ecco le novità e gli scenari
Cosa succede nell’industria del packaging e qual è l’impatto delle controversie sulle imprese italiane e internazionali
A firma di Emiliano Caradonna, CEO di Qwarzo*
È del 19 settembre scorso la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della UE del Regolamento (UE) 2024/2462 che modifica l’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), i suoi sali e le sostanze a esso correlate. Stiamo parlando di un altro composto PFAS, considerato fino a oggi meno tossico dei più noti PFOA e PFOS. Si allunga la lista dei ‘forever chemical’ (veleni eterni) che la legislazione europea regola nel loro uso a salvaguardia della salute pubblica e ambientale.
La sfida che si è posta l’Unione Europea rispetto ai PFAS (presenti in numerosi prodotti che i cittadini utilizzano quotidianamente, come i tessuti, i cosmetici e gli imballaggi alimentari e nei processi industriali) non è da poco, poiché si tratta di un gruppo che ricomprende quasi 15 mila sostanze chimiche. Per affrontare tale problematica è sembrato dunque necessario istituire con un regolamento chiamato REACH, acronimo di (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) un sistema di monitoraggio di quanto entra in Europa attraverso l’industria in relazione a tali sostanze. Il registro continuerà ad arricchirsi, ma molto ancora sfuggirà data la quantità di composti esistenti e potenziali.
È tuttavia importante per stabilire un sistema di responsabilità delle imprese e contribuire a trasformare in azione pratica il Green Deal, per un’Europa più sostenibile.
I PFAS da vicino: quali sono gli impatti sulla salute
I PFAS, o sostanze per- e polifluoroalchiliche, nascono negli anni ’40 in ambito militare e trovano poi applicazione in ambito civile con enorme successo. Grazie alla loro resistenza al calore, all'acqua e all'olio, vengono utilizzati in numerosi prodotti quotidiani, tra cui il packaging alimentare, il pentolame antiaderente, i cosmetici e gli indumenti impermeabili. Tuttavia, proprio questa resistenza li rende estremamente persistenti sia nell'ambiente sia nel corpo umano, guadagnandosi il soprannome di "sostanze eterne".
Le sostanze chimiche PFAS sono state rilevate quasi ovunque gli scienziati abbiano guardato: nell’acqua potabile, nella pioggia che cade sui Grandi Laghi , persino nella neve dell’Antartide. Si pensa addirittura che siano presenti nel sangue di quasi tutti gli americani dal momento che il settore del packaging è uno dei principali utilizzatori di PFAS, soprattutto per la produzione di imballaggi alimentari resistenti al grasso e all'acqua.
Tra i più recenti imballaggi incriminati di contenere PFAS ci sono i cartoni delle pizze. I PFAS possono migrare dall'imballaggio agli alimenti, soprattutto se grassi, salati o acidi, con conseguente esposizione diretta attraverso il consumo. Quando vengono gettati, gli imballaggi contenenti PFAS possono contaminare l'acqua e il suolo attraverso le discariche o diffondersi nell'aria se inceneriti.
È chiaro che la rivoluzione del food packaging, tra lotta alla plastica e PFAS, si appresta ad essere radicale.
Gli studi scientifici hanno associato l'esposizione ai PFAS a una serie di effetti negativi sulla salute. Tra questi si trovano problemi riproduttivi, disturbi dello sviluppo nei bambini, aumento del rischio di alcuni tipi di cancro (come quello ai reni e ai testicoli), ridotta risposta immunitaria, interferenze con il sistema endocrino e aumenti dei livelli di colesterolo. Recenti ricerche hanno anche collegato l'esposizione ai PFAS a una diminuzione della densità minerale ossea negli adolescenti, il che potrebbe portare a malattie ossee in età adulta.
Le regolamentazioni e la situazione legale in USA
Le prime regolamentazioni sui PFAS sono state adottate a livello internazionale con l’inclusione dell’acido perfluorottansulfonico (PFOS) nella Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti nel 2009. Successivamente, altri PFAS come l’acido perfluorottanoico (PFOA) e il perfluoroesano sulfonato (PFHxS) sono stati aggiunti alla convenzione rispettivamente nel 2019 e nel 2022.
Negli Stati Uniti, la regolamentazione sui PFAS ha visto significativi sviluppi negli ultimi anni. L'amministrazione Biden ha recentemente introdotto regole più severe per la gestione e la bonifica dei PFAS, classificando alcuni di questi composti come sostanze pericolose ai sensi del Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability Act (CERCLA). Negli ultimi mesi il governo federale ha affermato che diversi tipi di PFAS devono essere rimossi dall'acqua potabile di centinaia di milioni di americani. Questo permette all'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente (EPA) di salvaguardare la salute pubblica e perseguire i responsabili dell'inquinamento e assicurare che i costi di bonifica non ricadano sui contribuenti.
Le cause legali legate al PFAS hanno già preso di mira produttori negli Stati Uniti, tra cui DuPont, il suo spin-off Chemours e 3M. L’anno scorso, 3M ha accettato di pagare almeno 10 miliardi di dollari ai servizi idrici negli Stati Uniti che avevano chiesto un risarcimento per i costi di pulizia. Trenta procuratori generali statali hanno anche citato in giudizio i produttori di PFAS, accusandoli di contaminazione diffusa. Già nel 2005, l'EPA ha multato DuPont di 10 milioni di dollari, all'epoca la più grande sanzione amministrativa mai imposta dall'agenzia, per non aver rivelato gli effetti negativi del PFAS.
In Europa
Abbiamo sopracitato il regolamento REACH, nato nel 2006, che possiamo considerare centrale nella strategia e legislazione europea sulle sostanze chimiche, continuo bersaglio di polemiche e pressioni politiche per gli interessi dell’industria chimica che va a toccare. Tutte le sostanze chimiche immesse sul mercato dell'UE devono essere registrate presso l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di Helsinki, alcune sostanze devono essere autorizzate o il loro uso è limitato.
Intervengono poi, parallelamente, direttive e regolamentazioni in ambiti e industrie specifiche.
Per esempio, la PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation), la cui storia è iniziata nel 2015 con la Direttiva 94/62/EC (PPWD – Packaging and Packaging Waste Directive) e diventata regolamento nei mesi scorsi, oltre a disciplinare limitazioni ai materiali compositi e divieti come l’over-packaging, introduce il tema PFAS, stabilendo nell’articolo 5, dedicato alle sostanze contenute del packaging, cosa si intende per PFAS e in quali limiti saranno tollerati negli imballaggi a contatto con i cibi.
Ulteriori restrizioni ai PFAS riguardano l’acqua potabile, i cosmetici, prodotti plastici, ecc.
Non mancano le iniziative dei singoli Stati, come la Danimarca che ha bandito i PFAS dai contenitori alimentari e di recente la Francia che ha vietato la vendita di prodotti non essenziali contenenti PFAS con l’idea di andare nel giro di un paio di anni a bannare completamente queste sostanze chimiche.
E in Italia?
In Italia, alcune regioni hanno intrapreso diverse iniziative per affrontare la contaminazione da PFAS. Secondo un report del Nordic Council of Ministers, i costi associati alla bonifica e alla gestione sanitaria dei PFAS in Italia potrebbero variare tra 1,2 e 6 miliardi di euro per un bacino di 1,8 milioni di persone contaminate. La Regione Veneto, per esempio, ha avviato un piano di sorveglianza sanitaria nel 2016 per monitorare la popolazione esposta a PFAS nella "zona rossa" del Veneto, ovvero un'area di circa 180 km² che si estende tra le province di Vicenza, Verona e Padova, con livelli di contaminazione più elevati e dove sono state identificate fonti di inquinamento tra le più alte al mondo. La Regione Piemonte ha approvato la Legge regionale 25/2021, che impone limiti specifici per le emissioni di sostanze PFAS negli scarichi idrici superficiali.
Nel 2015, il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica ha introdotto i limiti di qualità ambientale (LQA) per i cinque tipi di PFAS più comuni presenti nell'ambiente. Inoltre, un decreto legislativo del 2023, che recepisce una direttiva europea, stabilisce specifici parametri da rispettare per l'acqua potabile, sotto la supervisione del Ministero della Salute.
Nonostante queste iniziative, l'approccio dell'Italia a livello nazionale è insufficiente e al momento non sembra esserci nessuna proposta in discussione.
PFAS, dal problema alla soluzione
È evidente che la transizione ecologica, in cui possiamo includere il tema PFAS, non è indolore per né l’industria chimica (direttamente interessata), né per le altre industrie che usano PFAS, ma è essenziale che la salute pubblica e l’ambiente siano considerati e tutelati come beni primari.
La domanda che dobbiamo porci è: esistono alternative?
Cioè, altre sostanze che sostituiscano l’uso attuale dei PFAS nei rivestimenti di oggetti, per l’industria o per i consumatori, senza comprometterne la funzione e gli utilizzi?
Circa un anno fa, uno studio belga ha voluto indagare la presenza degli PFAS all’interno delle cannucce biodegradabili di origine vegetale (carta e bambù), nate per sostituire le cannucce in plastica monouso messe al bando dall’Unione Europea (Direttiva SUP del 2019). Il risultato dello studio possiamo sintetizzarlo nell’adagio ‘cadere dalla padella alla brace’: i PFAS sono stati rilevati in quasi tutte le cannucce di cartone o di bambù, con concentrazioni altamente variabili tra i marchi, magari all’interno delle percentuali massime indicate dalle normative.
Eppure, esiste un’industria innovativa e un crescente numero di startup che sperimenta e realizza soluzioni alternative, a base minerale o vegetale, che sono sicure, ecologiche, sostenibili, performanti sotto ogni punto di vista. Le risposte ai PFAS ci sono, occorre maggiore consapevolezza e fiducia da parte dell’industria che oggi utilizza i ‘forever chemicals’ a voltare lo sguardo in altra direzione.
*Qwarzo® è un coating brevettato a base minerale che offre un’alternativa ai rivestimenti plastici tradizionali. Grazie alla sua composizione a base di silice, Qwarzo® può essere applicato su un'ampia gamma di materiali come carta, tessuti, metalli e altri supporti, conferendo resistenza e protezione senza compromettere la riciclabilità o la sostenibilità del prodotto, consentendo ai prodotti rivestiti con Qwarzo® di essere riciclati come carta o smaltiti tra i rifiuti organici.
Nello specifico, Qwarzo® va a rivestire le fibre di carta, creando una barriera e aumentandone la resistenza e le performance. La carta risulta, quindi, più robusta, resistente ai grassi, all’acqua e al calore. La tecnologia Qwarzo® si sposa molto bene con il comparto food andando a risolvere molti problemi di performance e riciclabilità e adattandosi a oggetti monouso quali cannucce, cucchiaini del gelato, palette per caffè, piatti, bicchieri; nel packaging, invece, contenitori, scatole e molto altro.