Cibo e Psiche
Il cibo e la psiche
I disordini alimentari sono una patologia che ha conosciuto un
vero e proprio boom negli ultimi decenni e sono la manifestazione più
evidente di un disagio psicologico legato allo stile di vita, sempre più
condizionato dalle molteplici situazioni di stress.
Ansia e cibo
Il cibo, decisamente più accessibile in questo ultimo secolo, è
diventato la valvola di sfogo ed insieme il nemico numero uno di un buon
numero di persone, che vi riversano ansie e aspettative.
Essere belli e in forma è un must e la battaglia con la bilancia è
diventato per molti una sorta di scontro fra titani in cui spesso il
vincitore è lui, il cibo. Le patologie più conosciute in questo settore
sono senz’altro la bulimia e l’anoressia, ma altre più subdole si stanno
lentamente infiltrando nel tessuto della società: tra queste vi è la
BED (Binge Eating Disorder), ovvero la “sindrome dell’abbuffata”. La sua
manifestazione più tipica sono gli improvvisi attacchi di fame, che
sopraggiungono anche se la persona non sente realmente lo stimolo, e
sono la risposta ad un subitaneo attacco d’ansia, che trova nell’atto di
mangiare la sua compensazione. Chi ne è colpito mangia molto
velocemente e non avverte lo stimolo della sazietà, continuando così a
mangiare fino a sentirsi scoppiare.
In genere chi è preda di questi
attacchi mangia da solo, poiché si vergogna di farsi vedere da altre
persone in quelle condizioni. Dopo l’abbuffata infatti, le sensazioni
prevalenti sono i sensi di colpa, il disgusto verso se stessi e,
naturalmente, la depressione. A differenza della bulimia, con la quale
questa sindrome ha molti punti in comune, gli attacchi si manifestano in
concomitanza dell’insorgere di un attacco d’ansia e durano almeno due
ore, mentre la bulimia ha più un carattere di cronicità. Un’altra
differenza con quest’ultima patologia è l’induzione del vomito, che
nella BED manca.
Chi ne soffre infatti non ricerca un controllo del peso
(non prende quindi neppure purghe o si sottopone a digiuni riparatori),
ma vuole solo placare la propria ansia. Infine, mentre la bulimia
riguarda principalmente le donne, la BED interessa entrambi i sessi,
sempre però con una predilezione per quello femminile (due uomini ogni
tre donne).
Viene considerato malato chi accusi degli attacchi di fame almeno due
volte la settimana: essi si manifestano prevalentemente in orario
notturno e chi ne cade preda sente l’impulso irrefrenabile di mangiare
qualsiasi cosa gli capiti a tiro, caldo o freddo, cotto o crudo, spesso
anche con le mani direttamente dai piatti. Questo disturbo insorge
solitamente durante gli anni della tarda adolescenza o, più
frequentemente, verso i 30-40 anni per via dei maggiori stress a cui si è
sottoposti. I soggetti più colpiti sono coloro che si mettono
frequentemente a dieta e sono in sovrappeso: l’effetto yo-yo infatti
pare stimolare questi attacchi e ogni volta che si ricomincia la dieta,
la diminuzione di peso si rivela inferiore rispetto al peso che si
riacquisterà e per questo motivo questa sindrome sta interessando sempre
di più chi si occupa di studiare l’obesità.
La fame nervosa
Molto simile alla Bed ma con attacchi meno violenti, è la fame nervosa.
Con questo termine si usa indicare il comportamento che adottano alcuni
soggetti per i quali le emozioni si confondono con l’assunzione del cibo
(eating emozionale) e che usano quest’ultimo per far fronte alle
sensazioni che ogni giorno si presentano.
Ne sono soggette anche le
persone in sovrappeso, che non mangiano soltanto per soddisfare un
accresciuto senso di fame. Secondo alcuni ricercatori le origini di
questo comportamento sarebbero addirittura da ricercare nella primissima
infanzia, durante il periodo dell’allattamento. Le madri infatti
offrirebbero il latte ad ogni pianto del piccolo, ingenerando una
confusione tra quello che è l’istinto della fame e un qualsiasi altro
malessere che viene in questo modo compensato con l’offerta di cibo.
Da adulti così non si riuscirebbe a distinguere bene quello che è il
disagio provocato dal senso di fame da altri più subdoli, legati a delle
situazioni di disagio e quindi alla cosiddetta fame emozionale. Il
legame tra alimentazione ed emozioni è ormai dimostrato, anche se con
questo non si intende affatto dire che esso sia necessariamente
patologico. I fattori che concorrono alla fame emozionale sono di natura
biologica, psicologica e culturale e si possono distinguere vari tipi
di comportamenti.
I vari tipi di mangiatori
Vi sono i mangiatori tristi, cioè coloro che assumono del cibo per
cercare di compensare il proprio stato d’animo, che deriva da un’analisi
realistica di una situazione, da una perdita o da una delusione. Questa
fame è del tutto fisiologica e dura il tempo necessario a superare il
dispiacere. Non va confusa con la depressione però, che deriva invece da
una distorsione del pensiero nei confronti dell’avvenimento spiacevole.
Chi è depresso tende a dare un’interpretazione catastrofica e
irrazionale degli avvenimenti e alla tristezza aggiunge la scarsa
autostima, il pessimismo verso il futuro e una diminuzione della voglia
di fare, a cui si associano spesso aumenti di peso e trascuratezza. Per
rimediare almeno in parte a questo tipo di fame, l’ideale sarebbe
convincere le persone depresse a fare un po’ di attività fisica, anche
solo delle passeggiate all’aperto, che stimolano la produzione di
serotonina e quindi migliorano l‘umore.
Tra le varie sintomatologie che stimolano verso un irrefrenabile voglia
di mangiare c’è anche l’ansia.
Nei soggetti ansiosi l’apprensione o la
preoccupazione per un avvenimento futuro che potrebbe rivelarsi
spiacevole spinge a mangiare di più. A questo proposito è bene ricordare
la differenza tra ansia e paura. Quest’ultima è infatti il risultato di
una sensazione specifica, immediata e fisica, mentre l’ansia è una
sensazione diffusa contro qualcosa di non ben specificato. Chi ne soffre
tende a compensare le sensazioni spiacevoli, la sudorazione,
l’agitazione e la tensione con il cibo.
Per contrastare questa fame è
necessario aiutare il mangiatore a superare l’ansia, individuandone le
cause e cercando quindi di modificare in positivo il proprio
atteggiamento mentale.
Un altro motivo per cui si tende a mangiare anche senza un reale stimolo
della fame è la noia. Il mangiatore annoiato è il più diffuso: il cibo
infatti è ai suoi occhi il solo motivo valido per poter interrompere
un’attività noiosa. Ne è un esempio la pausa caffè durante il lavoro:
assentarsi per rifocillarsi è infatti comunemente accettato, mentre
allontanarsi per fare due passi o leggere il giornale sarebbe ritenuto
da tutti eticamente scorretto. Anche chi si trova a casa e non abbia
degli impegni molto spesso inganna il tempo cucinando e quindi
mangiando. Per venire incontro a quest’ultima categoria di mangiatori,
il rimedio migliore sembrerebbe quello di aiutarli a programmarsi il
tempo libero con attività piacevoli e distensive, che siano però allo
stesso tempo coinvolgenti.
Accanto alla categoria dei mangiatori
annoiati se ne posiziona un’altra: quella dei mangiatori soli.
Queste
persone tendono a compensare la mancanza di affetti con il cibo,
utilizzandolo quindi come un sostituto. In particolare si possono
distinguere due tipi di solitudine: la prima è data dalla mancanza di
contatti con gli altri. Chi ne soffre tende quindi ad isolarsi e va
aiutato a superare le proprie difficoltà relazionali, affrontando prima
di tutto la paura che i rapporti con gli altri si rivelino sempre
deludenti. Esiste poi un secondo tipo di solitudine, in cui il soggetto
non è completamente isolato, ma tutti i suoi rapporti sono superficiali,
perché queste persone hanno paura che se mostreranno i propri
sentimenti saranno inesorabilmente allontanate.
C’è però chi mangia
anche per sfogare la propria rabbia: mordere qualcosa infatti è un gesto
istintivo che aiuta a scaricarsi, per cui il cibo viene associato
spesso a queste sensazioni. Non potendo scagliarci contro la situazione o
la persona che generano in noi questa pulsione, operiamo un transfert,
mordendo il cibo. A volte poi l’atto di mangiare diviene una vera e
propria ripicca: basti pensare a quelle donne che ricevendo commenti
negativi sul proprio aspetto fisico, reagiscono mangiando di più per
fare un dispetto al proprio compagno, ottenendo però il solo effetto di
farsi del male. L’ultima categoria di mangiatori che troviamo sul nostro
percorso è quella dei mangiatori celebrativi, cioè coloro per i quali
il cibo è una gratificazione e riescono ad intrattenere rapporti sociali
solamente a tavola.
La fame emotiva
Pare insomma che ogni scusa sia buona per rimpinzarsi di cibo. E in
effetti è con esso che nasce la prima forma di rapporto che il bambino
instaura con la propria madre ed è quindi naturale che le emozioni siano
legate al cibo. Quando però le emozioni influenzano troppo il nostro
comportamento alimentare, si instaurano delle vere e proprie condizioni
patologiche. Alla base del comportamento alimentare tuttavia, non
esistono solo le emozioni (anche se ne rappresentano la parte
preponderante), ma anche la predisposizione genetica, il livello di
attività fisica e la costituzione.
La fame emotiva può avere una durata imprevedibile: da alcuni minuti a
intere giornate, anche in funzione del tipo di “mangiatore”, come
abbiamo visto prima. Essa può suscitare la richiesta di un alimento in
particolare, di una determinata categoria (dolce, salato, farinacei)
oppure può stimolare semplicemente delle grandi abbuffate.
Questo tipo di fame sembra avere una predilezione per il gentil sesso,
che, anche per via di elementi culturali, tende ad essere più sensibile e
ansioso. Gli attacchi di fame inoltre tendono a concentrarsi in
particolari momenti della giornata: nel primo pomeriggio, la sera dopo
cena o immediatamente prima di coricarsi. Pare che questo sia anche
legato alla produzione ormonale, in particolare alla serotonina, più
alta al mattino. Sembra inoltre che le persone colpite da questi episodi
siano più sensibili agli stimoli alimentari rispetto alla media,
percependoli in maniera più piacevole. Nella maggior parte dei casi
però, il solo scopo delle abbuffate è quello di distrarre la mente,
almeno per un breve lasso di tempo, dai pensieri negativi.
Conoscersi di più per mangiare meglio e meno
La cosa migliore quindi per avere un equilibrato rapporto col cibo è
averlo innanzitutto con noi stessi, imparando a riconoscere lo stimolo
della fame da altri che fame non sono. Come abbiamo visto, infatti, le
emozioni sono in grado di influire sulla qualità e sulla quantità di
cibo assunto: addirittura determinate esperienze possono essere
ricollegate a un certo alimento e indurne quindi il desiderio e
viceversa.
Per un corretto approccio col cibo quindi è necessario in
primo luogo un approfondito esame di coscienza, chiedendosi innanzitutto
cosa stia realmente alla base degli attacchi di fame.
Riconoscere e
quindi saper gestire le proprie emozioni è un passo fondamentale e
assolutamente non semplice come potrebbe sembrare, ed è di importanza
fondamentale per combattere questi episodi.
In secondo luogo
bisognerebbe anche imparare ad accettarsi per come si è, non
colpevolizzandosi all’eccesso per i chili di troppo o se non si coincide
con il proprio ideale estetico, imparando anche a concederci di tanto
in tanto qualche gratificazione. Infine è importante individuare i
proprio punti deboli e quelli di forza, sfruttando questi ultimi per
sentirci meglio. Anche ampliare la propria cerchia di conoscenze, stare a
contatto con la gente e coltivare nuovi interessi gioveranno senz’altro
al nostro umore, allontanando nel contempo il pensiero dal cibo. Che
deve, in ultima analisi, rimanere solo un mezzo di sostentamento.
Mangiare per vincere lo stress (Eufic)
Sebbene la chiave per vincere lo stress stia nello scoprirne la causa e
nel trovare le modalità per ridurne gli effetti o per conviverci,
un'alimentazione sana e regolare può aiutare l'organismo ad affrontare
almeno alcuni dei suoi effetti negativi.
Qualsiasi sia la fonte di stress, fisica o emotiva, l'organismo reagisce
producendo adrenalina, un ormone che scatena numerose altre reazioni
sia ormonali che nervose che irrompono nell'organismo preparandolo "alla
battaglia o alla fuga".
Sebbene la maggior parte degli stress del giorno d'oggi non richiedano
una reazione fisica rapida (come accadeva un tempo), il nostro corpo
continua a reagire seguendo l'istintivo ed antico impulso a cui da
sempre è abituato. In meno di un secondo dopo la percezione di uno stato
di ansia, il battito cardiaco aumenta, la vista si fa più acuta e il
sangue confluisce verso i muscoli e si addensa quasi ad anticipare
l'esigenza di "riparare" una ferita.
Queste reazioni, che sono utili principalmente in caso di stress fisico,
hanno generalmente una durata breve, dopo di che i livelli ormonali
tornano alla normalità e il sistema nervoso ad uno stato di minore
tensione. Oggigiorno, lo stile di vita può a volte essere associato ad
uno stress mentale di lungo termine e ciò può far sì che l'organismo
mantenga uno stato di reattività allo stress per lunghi periodi di
tempo.
Essere sotto pressione
Gli effetti complessivi che lo stress ha sui bisogni nutritivi non sono
ancora del tutto chiari, ma è noto che in queste circostanze il
metabolismo può essere messo sotto sforzo.
Uno dei possibili effetti è l'indebolimento del sistema immunitario che
abbassa le sue difese e ci rende potenzialmente più esposti a contrarre
infezioni e malattie.
Per produrre adrenalina, è necessaria la vitamina C. Quando i livelli di
adrenalina aumentano, in seguito a un lungo periodo di stress, è
necessaria una maggiore quantità di vitamina C. La maggior parte degli
animali è in grado di aumentare la sintesi di questa vitamina per far
fronte a questo bisogno. Le capre, ad esempio, possono aumentare la
propria produzione di vitamina C del 500%. Purtroppo, l'uomo può contare
solo sulla propria alimentazione per ottenere questo nutriente
essenziale. Se, mangiando alimenti ricchi di vitamina C come arance,
kiwi, frutti di bosco (come ribes, more, fragole, mirtilli, lamponi),
peperoni, patate e broccoli, questa necessità non viene soddisfatta,
alcune parti dell'organismo, come il sistema immunitario, potrebbero
avvertirne la carenza.
La ricerca ha dimostrato che una carenza di vitamina C riduce l'attività
dei macrofagi, le cellule immunitarie che letteralmente "si cibano" dei
batteri e dei virus aggressori. Un numero ridotto di macrofagi ci rende
più predisposti a contrarre raffreddore ed influenza, che possono a
loro volta esaurire ulteriormente le scorte di vitamina C.
Quando il sistema immunitario è esposto a lunghi periodi di stress è
consigliabile rafforzarlo tramite assunzione di alimenti ricchi di
betacarotene (un precursore della vitamina A) come le carote, le verdure
di colore verde scuro e la frutta gialla e arancione.
La regolare assunzione di vitamine A e C, così come di acido folico e
zinco, è vitale perché il sistema immunitario svolga la sua funzione di
difesa dell'organismo dalle infezioni. L'acido folico si trova nei
fagioli neri, negli spinaci e in altre verdure a foglia verde, mentre il
granchio, le ostriche, il germe di grano, il fegato, i semi di zucca e
la carne rossa sono una buona fonte di zinco.
Il potere delle proteine
Il fabbisogno di proteine può aumentare se l'organismo è sottoposto ad
uno stress permanente. L'assunzione di certi tipi di pesce, di pollo, di
tacchino, di carni rosse magre, di uova, di latte o di fagioli diventa
particolarmente importante.
Un'alimentazione povera di proteine può ridurre considerevolmente le
difese immunitarie e la capacità di resistere alle infezioni. Diversi
pesci come il salmone, la trota, il tonno e le sardine, rappresentano
un'ottima scelta perché forniscono anche i grassi essenziali che
fluidificano il sangue. Ciò può aiutare a contrastare le proprietà
addensanti dell'adrenalina nel sangue.
Alimentarsi per combattere lo stress significa in realtà seguire una
dieta sana e bilanciata scegliendo il cibo in modo intelligente. Una
regolare attività fisica è altresì importante poiché aumenta la
produzione di endorfine (enfatizzanti naturali dell'umore) e migliora la
condizione fisica. Le persone sottoposte a continuo stress dovrebbero
prendere in considerazione di cambiare il proprio stile di vita o
cercare un aiuto dal punto di vista professionale.
Fonte EUFIC (European Food Information Council)