Panel Test
Olio d'oliva
Profumi, sapori e “sapere” attraverso il “Panel-Test”
Come tutti i prodotti destinati all’alimentazione, siano essi “nutrienti” o semplici “arricchitori” di sensazioni puramente edonistiche, il giudizio finale, al di là delle pur necessarie indagini chimico-fisiche o merceologico-legali, rimane sempre il palato.
Non sfugge a questa regola l’olio da olive che, da sempre in modo empirico e dal 1991 per legge, deve essere assaggiato prima della sua immissione al consumo. Con il Reg. CEE n. 2568/91 si è codificata questa prova, che ha assunto il ruolo di test legale, addirittura prioritario sulle analisi di laboratorio.
Quel regolamento istituisce il cosiddetto “panel-test”, cioè una prova effettuata da una giuria (panel) di assaggiatori professionisti che, sulla base di una procedura standard e codificata, emette un giudizio col quale si attribuisce all’olio vergine da olive una precisa categoria merceologica, che sarà successivamente integrata dai valori di analisi.
La struttura ed il funzionamento dei panel sono codificati nella puntuale successione delle operazioni, nel “vocabolario” delle sensazioni e nel “range” dei valori da attribuire ad ognuna di queste. Si utilizza una “scheda-panel” standard (redatta dal C.O.I., Comitato Oleicolo Internazionale) in cui l’assaggiatore deve ricercare e valutare una serie di attributi. Fondamentale è il “fruttato di oliva, verde o maturo” col quale si identifica nell’olio esaminato l’odore dell’oliva sana, fresca, giustamente matura, nel momento in cui viene franta: esso sarà intenso e deciso con olive verdi, più smorzato se mature. Vengono poi gli odori di “mela” (in presenza di sensazioni gusto-olfattive che ricordano quel frutto) e quelli di “altra/i frutta/i matura/i”.
Con l’olfatto si apprezzano anche il “verde”, la “foglia” e “l’erba”. Il primo è un tipico odore presente in oli ottenuti da olive acerbe (in genere l’olio apparirà anche amaro e piccante, al gusto), mentre quello di “foglia” conferma la relativa maturazione dei frutti. L’”erba” (odore che ricorda quello di un prato durante la falciatura) è tipico di alcune varietà di olive e, soprattutto, di certe aree geografiche mediterranee (Sicilia, Grecia, ecc.) e viene giustamente considerato carattere di pregio, come tutti i precedenti.
Solo alla degustazione, invece, si percepiscono l’”amaro” e il “piccante”. Entrambi attestano la presenza di sostanze fenoliche, alle quali si riconoscono capacità antiossidanti per la caratteristica di catturare e neutralizzare i radicali liberi, cui si deve il processo di irrancidimento, che porta alla distruzione “chimica” del grasso e che presiede all’invecchiare delle cellule. La presenza di “amaro” e di “piccante”, gradevoli fino ad una certa intensità, è indice di serbevolezza del prodotto nel quale, man mano che passa il tempo, i fenoli decadono sia come sensazione che come presenza, dando all’olio il carattere di “dolce”, da intendere non tanto come mieloso o zuccherino, bensì come mancanza di “amaro” e di “piccante”. Sono “dolci” gli oli prodotti da tempo o quelli ottenuti da olive mature o molto mature, in cui la componente fenolica è andata man mano distruggendosi.
Gli assaggiatori esperti sono in grado anche di percepire e valutare “altri attributi tollerabili” ai quali, in genere, si associano considerazioni positive: odori di “carciofo”, “pomodoro acerbo”, “mandorla”, “pinolo”, ecc., confermati o meno alla degustazione.
Ma compito del panel-test è soprattutto quello di ricercare le caratteristiche negative affinché alla distribuzione vadano, opportunamente qualificati, solamente i prodotti che rispettano le disposizione di legge e, soprattutto, che non tradiscano le aspettative dei consumatori.
All’olfatto e/o al gusto si avvertono i difetti di “avvinato / inacetito”, dovuti alla presenza di etanolo, acido acetico e acetato di etile, originati dalle omonime fermentazioni degli zuccheri presenti nell’oliva, prima, e nell’acqua di vegetazione mal separata, poi. Il “riscaldo” dipende da un’altra fermentazione, quella lattica, che origina sia acido lattico che alcoli amilici ed è tipica delle olive lavorate dopo un certo tempo dalla raccolta. Ai due precedenti spesso si associa l’odore di “muffa”, perché sui frutti stoccati in malo modo si instaurano questi microrganismi ricchi di oli essenziali, che si sciolgono nell’olio di oliva. Una cattiva conservazione, il contatto con l’aria, l’esposizione alla luce, ecc. accelerano il destino naturale di tutti i grassi verso l’irrancidimento, il più grave difetto di tutti gli oli, che si avverte con il disgustoso senso di “rancido”, dovuto a prodotti di degradazione, fra l’altro tossici. Sgradevole è anche il difetto di “morchia”, da imputare a sostanze neoformate dalla putrefazione di particelle di polpa d’oliva sedimentate sul fondo dei recipienti.
Codificati come tali sono anche i difetti di “metallico” e di “grossolano”. Sempre più raro il primo, grazie all’uso dell’acciaio inox nell’impiantistica, mentre il secondo si riscontra quando l’olio lascia in bocca una sensazione “pastosa” di grasso, come si “masticasse” strutto.
L’assaggiatore opera nella massima concentrazione, dovuta alla responsabilità professionale che gli si chiede e ad un codice deontologico cui deve attenersi. Ha di fronte un particolare bicchiere di vetro fortemente colorato (blu scuro, marrone, nero) che non consente di essere influenzati dal colore dell’olio, troppo facile da “aggiustare” e di significato infimo sulla qualità. Ponendolo, coperto, su una piastra riscaldata e termostatata a 28 °C, lo avvicinerà al naso cogliendo, dell’olio, gli odori. In questa fase si deve cercare di cogliere le sensazioni, separare le une dalle altre, positive o negative che siano e valutarle in base all’intensità con cui vengono percepite.
L’assaggio consiste nel portare alla bocca olio per circa l’equivalente di un cucchiaio da tè, investire con quello tutta la lingua e la cavità orale, aspirare violentemente aria quasi a nebulizzare l’olio stesso, poiché l’aereosol che si forma facilita il percepire, attraverso le papille gustative a diversa specializzazione, le varie sensazioni da ricercare. Nella massima concentrazione, questo “stripping” viene ripetuto più volte, espellendo l’aria inspirata dal naso ed infine liberandosi dell’olio in esame.
Durante questa operazione si analizzano mentalmente le sensazioni, valutandone l’intensità con la quale sono percepite.
La scala ha una relativa oscillazione di valori, fra 0 che si attribuisce in assenza di percezione, e 5 che vale “intensità di percezione estrema”. I valori intermedi sono 1, se l’attributo è “appena percettibile”, cioè si riconosce con difficoltà, 2 se l’intensità con cui si avverte è “leggera”, ma si identifica qualitativamente con sicurezza, 3 se “media, 4 se “grande”.
Gli assaggiatori si allenano non solo a valutare la qualità delle sensazioni, ma anche a “misurarne” la “quantità” giungendo a risultati pressoché univoci così come nello spirito della legge, comunque al servizio dei consumatori e dei produttori.
Specialmente i produttori possono trarre, dai giudizi e indicazioni sugli “errori”, dovuti spesso più a certe tradizioni che stentano ad essere abbandonate che a cattiva volontà o difficoltà tecniche, le indicazioni giuste per migliorare il prodotto. Oggi, grazie alla crescita culturale del “mercato”, un settore difficile come quello olivicolo-oleario può beneficiare di risultati economici positivi purché sia in grado di offrire, sempre più, prodotti qualitativamente migliori.