Export vino

Vino italiano, mercato solido.

Export (nuovamente) trainante nel 2025 

  • Bain & Company Italia, in concomitanza con l’appuntamento del Vinitaly 2024, pubblica le proprie stime sull’outlook del settore vitivinicolo italiano
  • Dopo un periodo difficile - più in termini di vendite dei produttori che come consumi reali – le stime rimangono molto positive, con crescite del 3-4% a valore
  • Gli Stati Uniti – che devono smaltire le giacenze nei magazzini accumulate tra il 2021 e il 2022 - rimangono centrali per l’export del nostro Paese
  • I vini frizzanti continueranno a guidare la crescita a livello globale, seguiti dai vini bianchi
  • I produttori e gli operatori italiani devono guardare con fiducia al prossimo ciclo, ma professionalizzazione, scala ed innovazione di prodotto saranno più rilevanti che mai                        

Le esportazioni di vino italiano vengono da un lunghissimo periodo di forte sviluppo. La sicura e costante crescita media - ormai più che ventennale - del 4-5% annuo a valore aveva un po' illuso tutti gli operatori che il trend sarebbe durato indefinitamente e che strategie “incrementali” e “more of the same” sarebbero state sufficienti.

Ma il periodo di inarrestabile crescita si è interrotto, e gli ultimi tre anni sono stati segnati da diversi e repentini cambiamenti. Prima a causa dell’impatto del Covid-19, che ha determinato un calo dell’export del 2% a valore nel 2020, e la necessità di ribilanciare repentinamente i canali di vendita, seguito poi da due anni di euforia con crescita a doppia cifra e un avvicinamento agli 8 miliardi di euro nel 2022.

Nel 2023 il brusco “risveglio” ha portato a definizioni come “anno nero” ed un crescete pessimismo sulle potenzialità del vino italiano nei mercati internazionali. Infatti, nel 2023 le esportazioni sono complessivamente calate di circa l’1% a valore, con picchi negativi del -5% negli Stati Uniti, considerati tradizionale locomotiva dell’export per il vino italiano.

Guardando agli altri mercati, le performance nel 2023 sono state variegate: i flussi verso Germania e Regno Unito, rispettivamente secondo e terzo mercato per l’export italiano, sono cresciuti rispettivamente del 3% e del 4% a valore lo scorso anno, anche se parte del traino della Germania solo stati i volumi, a minore valore aggiunto, di vino sfuso. La Francia – pur rappresentando un mercato di sbocco relativamente contenuto - continua a manifestare segnali di crescita brillante per il vino italiano, avendo messo a segno un +10% a valore nel 2023. Mentre anche i Paesi Nordici, Svizzera e Asia hanno registrato performance negative.

Guardando ai dati di consumo ed i livelli di stock è chiaro, tuttavia, come la performance del vino italiano non sia poi stata così negativa, anzi: sta manifestando complessivamente dati piuttosto incoraggianti.

“Se prendiamo gli Stati Uniti, Paese più rilevante per il nostro export, la performance molto negativa del 2023 - con un calo dell’export di -5% a valore ed addirittura del -9% in termini di volume, ha allarmato. Tuttavia, il calo non è dovuto ad un improvviso cambio di gusti del consumatore americano, che invece continua ad apprezzare e comprare il nostro prodotto. Infatti, la quota dei consumi del vino italiano in USA è crescita di quasi mezzo punto al 13%, su consumi complessivi che a valore sono cresciuti per effetto prezzo del 4%. Il calo di volume dell’export è quindi legato interamente a fattori contingenti e non strutturali, dovuti all’accumulo di stock nella filiera distributiva avvenuto post-Covid, fino alla prima parte del 2023. Stimiamo che le settimane di stock nei vari livelli distributivi siano passate da valori di 15-16 settimane nel 2019 a 21 settimane a Maggio-Giugno 2023, per poi ridursi gradualmente a 18 settimane alle fine del 2023 e, di fatto, frenando bruscamente i volumi di export nella seconda parte dell’anno”, spiega Sergio Iardella, Senior Partner di Bain & Company.

“Scomponendo quindi il calo del 9% dei volumi di export di vino italiano nel 2023, circa l’8% è dovuto a dinamiche di stocking e de-stocking, e non ai consumi. Quindi di fatto, a consumo, il vino italiano in USA è stato sostanzialmente stabile, con un calo inferiore all’1% e con performance superiori alla media del settore. Se la buona notizia è che il tema legato agli Stati Uniti non è strutturale, bisogna però considerare che, a fine 2023, si contavano ancora circa 3 settimane di eccesso di stock nella solo filiera distributiva, con la volontà dei distributori per il 2024 di continuare a fare de-stocking. Si consideri infatti che il valore complessivo globale di circa 2,7 miliardi di dollari di questo stock - con l’attuale costo del denaro - rappresenta un problema da continuare gestire. In definitiva le prospettive a partire dal 2025, guardando poi anche agli altri mercati, seppur con qualche altro mese di sofferenza ed un po' di ulteriore turbolenza da de-stocking nel 2024, crediamo possano essere molto positive con il vino italiano, ancora protagonista e molto apprezzato dai consumatori”, prosegue l’esperto.

Nel complesso, guardando all’outlook del vino italiano, l’export previsto da Bain & Company a livello globale è in crescita nel medio periodo di +3-4% a valore per anno, con ripresa molto solida soprattutto a partire dal 2025. Guardando ai diversi segmenti, il Prosecco – in virtù del grande riconoscimento, versatilità e diffusione tra diverse generazioni di consumatori – continuerà a crescere a valore sopra le media del mercato.

Il consumatore, con tante differenze e specificità per singolo mercato, in generale predilige sempre più vini leggeri, facili da bere e magari anche da mixare, come i frizzanti. In questo contesto, anche i bianchi cresceranno bene a valore, mentre per i rossi, soprattutto quelli di maggior corpo - con eccezione dei vini super premium che fanno corsa a sé - continuerà il trend di complessiva contrazione dei volumi con contenuta crescita a valore. In generale, l’outlook positivo rimarrà trainato da mix di premiumizzazione piuttosto che da crescite a volume (previste nel complesso stabili); da questo punto di vista, il prossimo futuro non sarà diverso dal decennio pre-Covid.

“Se dopo un periodo difficile ci sono elementi per essere positivi sul futuro, crediamo che questo contesto turbolento richieda di accelerare il salto di qualità delle nostre aziende del vino. Alcuni passaggi sono imprescindibili: piccolo non è sempre bello, le aggregazioni - anche spinte da sponsor finanziari ed in alcuni casi dal ricambio generazionale - sono auspicabili e necessarie per potere competere sui mercati internazionali con maggiori capacità finanziarie. È imprescindibile continuare ad offrire prodotti di qualità che cavalchino la premiumizzazione, ma il focus della differenziazione deve essere non solo il contenuto dalla bottiglia, è necessario utilizzare tutte le leve del marketing (dal packaging, oggi spesso poco distintivo e riconoscibile, alle attività a punto vendita, alla comunicazione più esperienziale). Il vino, mantenendo la sua distintività e tradizione, ha molto da imparare da altre aziende di beverage, come gli spirit, o anche da chi sta inventando nuove categorie, come gli hard selzer negli USA, puntando anche sul modo di comunicare e di associare il prodotto ad occasioni di consumo più in linea con le nuove generazioni. L’innovazione di prodotto deve poi guardare ai segmenti core, ad esempio il rosé e tutto il mondo dei frizzanti che rimangono categorie molto dinamiche, ma è importante anche attrezzarsi per cogliere opportunità in mondi in rapido sviluppo come low / no alcool. In conclusione, sarà necessario capire che per confermare gli ottimi risultati messi a segno nella lunga fase precedente, occorre trovare nuovi paradigmi di crescita e soluzioni strategiche un po' più discontinue” conclude Iardella. 

 

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