Acquacultura
Pesce: selvaggio o allevato?
Quando si parla di pesci vengono automaticamente in mente i prodotti del
mare dimenticando che esistono delle specie pregevoli, ottime per ogni
tipo di ricetta, provenienti dall’acqua dolce: fiumi e laghi.
Erroneamente si pensa che i pesci di acqua dolce, forse per il fatto che
l’acqua non è salata, siano poco gustosi e poveri di contenuto. In
realtà non è assolutamente cosi, in termini nutrizionali il pesce
d’acqua dolce è paritetico all’omonimo del mare, mentre sotto l’aspetto
del gusto è sicuramente più delicato e morbido. Non a caso, il
pregiatissimo caviale si ricava dalle uova dello Storione, mentre i
pesci come la Trota vivono solo in acque limpide: una garanzia di
prodotto naturale.
Premesso, quindi, che il pesce d’acqua dolce è sicuramente ottimo, si
tratta ora di capire la differenza tra pesce d’allevamento e pesce
selvaggio, perché anche in questo caso ci sono dei miti da sfatare.
Quante volte ci siamo posti la domanda se scegliere l’uno o l’altro,
nonostante la differenza di prezzo, perché quello pescato costa
decisamente di più. Il dubbio è probabilmente frutto di una errata
informazione che vede, nell’immaginario collettivo, il pesce pescato
come sinonimo di qualità, gusto e freschezza che di norma non vengono
attribuiti a quello proveniente dalle vasche.
Forse non tutti lo sanno, ma l’idea di allevare pesci è tutt’altro che
moderna: la sua storia risale infatti a oltre 5000 anni fa. In un
bassorielivo della tomba di Aktihetep del 2500 a.C., è chiaramente
riconoscibile un uomo che raccoglie tilapie (pesci d'acqua dolce) da uno
stagno, mentre nello stesso periodo si ha testimonianza
dell’allevamento delle carpe in Cina.
Anche l’attenzione che Fenici, Etruschi e Romani riposero nelle attività
di acquacoltura sono certamente legate ad antiche pratiche Egizie. In
Italia, durante l'epoca romana, nei laghi costieri, nelle lagune o in
apposite pescherie alimentate con acqua marina venivano allevate spigole
e orate, considerate molto pregiate, per le quali abbondavano citazioni
nei ricettari del tempo come ad esempio nel "De re coquinaria" di
Apicio del I secolo d.C.
Ai giorni nostri, l’allevamento assicura che nei mercati siano
regolarmente presenti determinati prodotti ittici costanti per qualità,
pezzatura e quantità, mentre per il pesce selvaggio –ormai in via
d’estinzione- siamo costretti ad importarlo da tutto il mondo. L’Italia,
con un consumo pro capite di 27 kg l’anno, importa circa due terzi del
pesce consumato.
E’ quindi auspicabile che venga incrementato lo sviluppo
dell’acquacoltura, sia per ragioni economiche, ma soprattutto perché
sarà l’unica possibilità per produrre del buon pesce. In particolare
esistono tre diverse tipologie di allevamento: intensivo, estensivo e
semiestensivo.
In quello intensivo i pesci sono allevati in vasche di acqua dolce,
salata o salmastra e vengono alimentati con mangimi appositamente
studiati per ciascuna specie. Questo tipo di allevamento si può fare
anche in mare aperto, ma in questo caso i pesci vivono in grosse gabbie
galleggianti o sommerse. L’allevamento estensivo invece si caratterizza
per il fatto che il pesce viene seminato allo stadio giovanile in lagune
o stagni costieri e cresce con alimentazione naturale, sfruttando cioè
le risorse fornite dall'ambiente. Esiste infine una forma di allevamento
intermedia, detta semiestensiva, in cui l’alimentazione naturale viene
integrata con mangimi.
I prodotti di acquacoltura hanno la caratteristica di essere prelevati
nelle quantità richieste dal mercato e arrivano al consumo poche ore
dopo essere stati pescati.
Un’acquacoltura di Qualità
Acquacoltura: pesce sicuro e criteri rigorosi
L’allevamento in vasche allontana maggiormente il pesce dal suo ambiente
naturale, ma ne consente un maggiore controllo in termini di:
• alimentazione: si utilizzano alimenti derivati da quelli naturali (farine di pesce e farine vegetali);
• freschezza: il pesce arriva al consumatori dopo poche ore dalla
pesca e viene prelevato secondo i quantitativi richiesti dal mercato;
• microbiologia e contaminanti chimici: vengono effettuati periodici
controlli campione da parte di ASL, servizi sanitari pubblici;
• prerequisiti di qualità: sicurezza e igiene sono garantite dai
medici veterinari che seguono ogni fase di produzione (controllo di
filiera);
• rintracciabilità.
Valore nutrizionale
È innanzitutto da premettere che il valore nutrizionale del pesce allevato è pari a quello del pesce selvatico.
Il consumo regolare di pesce è consigliato almeno due volte alla settimana per un’alimentazione sana e corretta.
Il prodotto ittico è infatti caratterizzato da:
1. alta digeribilità dovuta a:
- minor contenuto di connettivo;
- presenza di fibre muscolari più corte;
- elevato contenuto di proteine ad elevato valore biologico che sono
più sensibili alla denaturazione e alla proteolisi, quindi più
facilmente digeribili;
2. il pesce di allevamento è ipocalorico sebbene abbia una maggiore
quantità di grasso (di qualità paragonabile a quella del pescato): ha un
basso contenuto in colesterolo e relativamente elevato di fosfolipidi
adatto alla prevenzione delle malattie cardiovascolari correlate (es.
aterosclerosi);
- anguilla di allevamento: 87 mg di colesterolo
3. acidi grassi polinsaturi della serie degli Omega 3 che hanno
un’azione antitromboitica e vasodilatatrice, svolgono un ruolo
essenziale nello sviluppo cerebrale, della retina e nel contrasto dei
radicali liberi (principale causa dell’invecchiamento cutaneo). Inoltre
secondo un recente studio un consumo di pesce durante la gravidanza
previene le forma di depressione post-parto, e diminuisce il rischio di
interruzioni di gravidanza (di un 30%) (British Medical Journal)
4. minerali
5. vitamine
ETICHETTATURA
Come leggere l’etichetta del pesce
Il Reg. CE n. 2065 del 22 ottobre 2001 rende obbligatorie le seguenti indicazioni:
- denominazione commerciale del pesce
- denominazione scientifica della specie
- provenienza (stato)
- tipologia (“Allevato in Italia”)
- denominazione sociale e sede azienda produttrice
- data di cattura
- numero di lotto
Note:
• il cattivo odore deriva dalla degradazione delle proteine (es.
derivato dell’amminoacido lisina, la piperidina), delle sostanze
azotate, del lattato e dei grassi.